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Murat, Gioacchino.

Re di Napoli. Avviato agli studi ecclesiastici, abbandonò il seminario di Toledo e si arruolò in un reggimento di passaggio. Espulso dall'esercito nel 1787 per insubordinazione, ma reintegrato due anni dopo, fece parte della Guardia costituzionale di Luigi XII e si mise in luce nella repressione dell'insurrezione realista dell'ottobre 1795, accanto a Bonaparte. Legatosi a questi, lo seguì nella Campagna d'Italia e in quella d'Egitto (1798-99). Il suo valore e la sua audacia lo portarono a ricoprire la carica di generale di divisione a soli 32 anni. Ebbe, in seguito, una parte di primo piano nell'esecuzione del colpo di Stato di Brumaio (9 novembre 1799). Divenne quindi comandante di guardia consolare e sposò Carolina, sorella di Napoleone. Dopo la vittoria di Marengo (1800), ebbe la nomina di generale in capo delle truppe francesi stanziate in Italia. Scontratosi, però, con il vicepresidente della Repubblica Italiana, F. Melzi, tornò a Parigi come governatore. Successivamente, nominato maresciallo dell'Impero e granduca di Berg e Clèves nel 1806, nel 1807 ebbe il comando delle truppe che invasero la Spagna e domò la sollevazione madrilena del 1808. Nello stesso anno successe a Giuseppe Bonaparte sul trono di Napoli. Nei primi due anni di Regno si preoccupò di eliminare il brigantaggio, che venne debellato solo nel 1810, e di organizzare l'invasione della Sicilia, dove si erano rifugiati i Borboni grazie all'appoggio inglese. Il fallimento del tentativo di sbarco indebolì i rapporti con l'imperatore e M. fu più volte sul punto di essere deposto. Continuò, però, la sua opera, rafforzando il Regno e dotandolo di una moderna struttura amministrativa, il cui personale fu reclutato fra le file colte della borghesia e della nobiltà fedele al nuovo regime. Migliorò con adeguate riforme le condizioni sociali ed economiche della popolazione. Con una accorta politica finanziaria consolidò il debito pubblico; promosse leggi a favore dell'agricoltura, dell'industria e del commercio. Procedette, inoltre, all'adozione dei codici francesi e promosse la riforma del sistema scolastico. Nel 1812, riappacificatosi con Napoleone, partecipò alla Campagna di Russia, ma nel 1813 lasciò il comando a E. di Beauharnais e tornò a Napoli. Dopo aver combattuto ancora a fianco di Napoleone a Lipsia e a Dresda, cercò appoggio tra gli Alleati e nel 1814 si alleò con l'Austria. Alla notizia del ritorno dell'imperatore dall'Elba, concepì, con il proclama di Rimini del 1815, l'idea di sollevare l'Italia e di costituirla in Regno indipendente. Sconfitto, si ritirò a Cannes e ad Ajaccio, da dove salpò alla riconquista del suo Regno. Sbarcato a Pizzo Calabro, fu fatto prigioniero e condannato a morte (Labastide-Fortunière, od. Labastide-Murat, Lot 1767 - Pizzo Calabro, Catanzaro 1815).